Maria Vittoria Rossi al secolo Irene Brin (Mariù, Maria Del
Corso,Mariella, Ortensia, Marlene, Contessa Clara, Madame d’O, Geraldine Tron suoi
numerosissimi pseudonimi): rivive il mito grazie alla pubblicazione di due
libri: Olga a Belgrado, scritto da Irene Brin, editato nel 1943 da
Vallecchi e mai più ripubblicato fino a questa nuova edizione della Casa
Editrice Elliot e Mille Mariù di Claudia
Fusani, con la prefazione di Concita De Gregorio, fra i cinque finalisti
della sezione saggi del Premio Viareggio. E' la storia della vita di Irene Brin
da un punto di vista letterario e sociale e contiene alcune foto inedite della
giornalista.
Notevole successo ha riscosso ieri, domenica 30 settembre
2012, la presentazione dei libri alla frazione Sasso di Bordighera in provincia
di Imperia, per il pomeriggio culturale dedicato a Irene Brin. Sono intervenuti
gli “Amici dei Giardini Hanbury” di Ventimiglia con il loro Presidente, il noto
scrittore Alain Elkann. Vincent Torre, nipote di Irene, moderno
mecenate, grazie al quale lo scorso anno “Il Giardino di Irene Brin” ha ripreso
vita con nuove eccellenti sembianze, ha presentato l'evento.
Per chi non avesse idea di chi fosse Irene Brin ella nacque in Liguria nel 1914, l’anno del primo grande
conflitto europeo, proprio nel paesino di Sasso, vicino a Bordighera. Famiglia
composita e multiculturale la sua: il padre ferreo generale di carriera, la
madre una fantasiosa ebrea di nascita austriaca, che le insegnò le lingue e le
trasmise la passione per l’arte e la letteratura. Non aveva ancora compiuto
vent’anni quando debuttò sul quotidiano Il
Lavoro, firmandosi Mariù, pseudonimo al quale preferì poi il proustiano
Oriane. Ma fu Longanesi a “inventarla” come Irene Brin e come giornalista di
costume. Grande scopritore di giornaliste brillanti. Negli anni ancora a
venire, Il Borghese avrebbe reclutato Orsola
Nemi, scrittrice e traduttrice, moglie di Henry Furst. Longanesi la invitò a scrivere per Omnibus nel 1937, e il suo fu un particolare
tipo di giornalismo:colto, brillante, leggero, mai superficiale né volgare. Elargiva
dalle colonne di Omnibus e poi da quelle della Settimana Incom di Luigi Barzini jr tanti consigli di saper vivere
e di buona educazione, di stile e buon gusto.
Quando cominciò a scrivere per
Omnibus, aveva 23 anni. Tre anni prima a un ballo all’Hotel Excelsior di Roma
aveva conosciuto Gaspero del Corso,
giovane ufficiale nato in Eritrea: fu amore improvviso, attraverso il quale, i
due scoprirono di aver in comune la passione per l’arte, per la letteratura e
per i viaggi. L’ufficiale era un collezionista attento e intuitivo e un
viaggiatore intelligente. Insieme la coppia viaggiò per il mondo, allacciando
contatti e intrecciando proficui rapporti. Nel 1943 alla fine della guerra, tornarono
a Roma, con pochissimi mezzi e incerte prospettive per il futuro. Vivevano
nascosti, perché Gaspero nella confusione dell’armistizio era un ufficiale in
clandestinità. Si mantenevano con le traduzioni di Irene per vari editori,
proventi che si facevano sempre più scarsi. Alla fine, non sapendo più come fare,
Irene decise di vendere i regali di nozze: cominciò con una borsetta di
coccodrillo e proseguì con disegni di Picasso,
Matisse, Morandi. Poi trovò un posto di commessa alla libreria La
Margherita dove Gaspero, al quale Alberto Savinio aveva trovato il falso nome di Ottorino Maggiore,
l’aiutava a trovare libri, quadri e compratori. Un giorno passò dal negozio un
giovane a mostrare un portfolio di disegni a inchiostro: “Mi chiamo Renzo
Vespignani”, disse. Irene comprò i disegni dell’esordiente e li rivendette il
giorno stesso. Poco tempo dopo lasciò La Margherita e affittò un locale in via Sistina: era nata la galleria L’Obelisco di Gaspero
e Maria del Corso, una delle più famose di Roma e d’Italia dove sarebbero
passate tutte le avanguardie degli anni Cinquanta/Sessanta e non solo: Afro, Capogrossi, Fontana, Burri, Pomodoro, Sironi, Morandi, De Chirico, Balla, Campigli. E poi per la prima volta in
Italia i grandi stranieri: Magritte,
Kandinskij, Moore, Calder, Dalí, Bacon e Rauschenberg.
Fu una delle donne più cosmopolite di quell’epoca euforica e contraddittoria che fu il secondo dopoguerra, perfettamente introdotta nella superstite nobiltà europea come nell’alta società americana e negli ambienti artistici e intellettuali, romani e non. Aneddoto significativo e famosissimo quello del suo incontro con Diana Vreeland, mitica e tremenda direttrice di Harper’s Bazaar, mentre passeggiava in un pomeriggio del 1950 a New York per Park Avenue. Harper’s Bazaar, era la più sofisticata delle riviste newyorchesi alla quale collaboravano scrittori come Truman Capote e Carson Mac Cullers, fotografi come Henri Cartier-Bresson. Irene Brin indossava un tailleur di Fabiani e l’elegantissima donna le chiese dove mai lo avesse acquistato e di chi fosse quel tailleur. Nacque così una collaborazione per la rivista che introdusse per la prima volta lo stile italiano in America. Irene scriveva con uno stile asciutto, ironico, pungente, deliziosamente snob, profondamente laico. Scriveva di moda, che fu insieme all’arte la sua grande passione. I suoi reportage su Pucci, sulle sorelle Fontana, su Fabiani, dalle colonne di Harper’s Bazaar, spalancarono alla moda italiana il Golden Gate d’America. Fu lei a portare in casa del marchese Giovanni Battista Giorgini (il promotore della famosa sfilata del made in Italy nel 1951) il primo gruppo di compratori statunitensi. Intanto dalle pagine della Settimana Incom la misteriosa Contessa Clara (solo dopo la chiusura della rubrica se ne conobbe l’identità) elargiva consigli di savoir faire: come vestire, come comportarsi, che cosa assolutamente non fare. Fu sostenitrice di un’eleganza che aveva i suoi modelli in Coco Chanel e in Wallis Simpson, duchessa di Windsor, per la quale non si era mai «troppo ricche e troppo magre». Preziose pillole di saggezza, intelligenza e umanità, prima ancora che lezioni di stile. La Contessa Clara non insegnava soltanto a usare bene il coltello a tavola, ad organizzare alla perfezione un ricevimento, a scegliere i calzini giusti o la giusta sfumatura di rossetto. Fondamentale era, il rispetto di se stessi e degli altri. E questo insegnamento è la più preziosa eredità del bon ton di Irene Brin.
“Siate, tranquillamente, generosi e cortesi verso chi non fa alcun
conto sulla generosità e sulla cortesia altrui. La comprensione, il rispetto
delle personalità altrui sono i soli sistemi per sembrare, ed essere, veramente
intelligenti”.
Nell’estate del 1968 andò in auto con Gaspero
a Strasburgo per le consuete mostre d’arte, ma si sentì male al ritorno e fece
sosta nella sua casa di Sasso, dove morì la settimana dopo.
Su Elle Italia di ottobre potrete
trovare un interessante articolo: Irene
Brin, Mille volti per un solo stile
di Sofia Gnoli.
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